Qualcuno potrebbe obiettare che una sfida onesta richiede un giudice imparziale. Cioè un arbitro. Senza un arbitro, uno dei contendenti è avvantaggiato. Allora perché questa sfida non ne ha uno?
La risposta è semplice: questa è una sfida anomala. Infatti ci può essere successo o fallimento solo per lo sfidante, cioè per chi converte. Choam, che dev’essere convertito, non può né vincere né perdere.
Questa sfida non è un confronto di argomenti su una tesi, con un osservatore esterno – l’arbitro, appunto – che deve decidere quali argomenti vincono. Non funziona così. Non c’è un credente che deve dimostrare che il Dio abramitico esiste mentre Choam deve dimostrare al credente che il Dio abramitico non esiste. Choam non deve dimostrare nulla: lui sta lì e ascolta gli argomenti che gli vengono proposti e se lo convincono li accetta e se non lo convincono li respinge e spiega perché.
Che c’entra un arbitro? Che cosa dovrebbe stabilire un arbitro? Se Choam è convinto? Ma lo sa Choam se è convinto! Se ci mettiamo un arbitro, poi quello che deve essere convinto è l’arbitro. E allora ci vuole un super-arbitro per stabilire se l’arbitro è convinto? Ma che assurdità è?
L’arbitro, se proprio vogliamo immaginarne uno, è la razionalità. Poi da fuori chi assisterà al confronto si farà da solo la propria opinione sull’onestà intellettuale di Choam e deciderà se è sincero oppure no nel riconoscere o nel respingere gli argomenti della controparte. Ma un arbitro esterno non serve e nemmeno ha senso.
Così è. E al credente che si lagna dell’assenza di un giudice imparziale si ricorderà che il Regolamento è quello e non prevede un arbitro. Se va bene, bene. Se non va bene, allora non si partecipa alla sfida. Nessuno è obbligato, se il Regolamento non gli va a genio. Se si partecipa, implicitamente si accetta il Regolamento e non ci si lagna. Non si comincia a giocare a calcio e poi si pretende di toccare il pallone con le mani. Se si vuole toccare il pallone con le mani, allora ci si dedica alla pallamano.